La comunità capi triste
Come sorride e canta, anche nelle difficoltà, un gruppo di adulti.
di Francesco Santini, da Scout – Proposta educativa, 2012 (Anno XXXVIII, n°1 pag. 17-18)
La comunità capi triste è un agglomerato di capi informi, divisi, ognuno che forma un pianeta a sé.
Si arriva a riunione di comunità capi portando lo stress della giornata, di un esame andato male, di una giornata di lavoro pessima, di problemi in famiglia o la fatica del servizio. A seconda dell’argomento all’ordine del giorno i capi riversano nella riunione i propri: “io penso che”, “ai miei tempi si faceva così”, “io ho la soluzione”, “no, ma tu non sei esperto”, “no, ma tu non capisci, non sai, non puoi”. La comunità capi è uno dei primi motori motivazionali al servizio dei capi e forse uno dei fattori che contribuisce a far abbandonare il servizio è proprio quella vena di tristezza, fatta di litigi e sfiducia reciproca, che rende triste una comunità capi.
Mai come in questo momento, nel nostro Paese e nella nostra Associazione, vi è la necessità di percorrere il sentiero del dialogo, fatto di dibattito, di scontri e incontri, di scelte decise, non tanto all’unanimità, quanto seguendo le vie di un sano e maturo confronto tra adulti. Questo sentiero deve essere percorso da tante sentinelle, persone, scout che sappiano esprimere le proprie opinioni senza voler prevaricare quelle degli altri. Iniziamo insieme a percorrere la via del dialogo e per farlo, impariamo a costruire in comunità capi un forte antidoto alla tristezza: la forza del saper sostenere una propria posizione, trovare un accordo, venire incontro all’altro.
Scindere le persone dal problema
Spesso in comunità capi ci troviamo ad affrontare argomenti che scaldano le serate e gli animi. In questi momenti, oltre alla necessaria presenza di capigruppo preparati al ruolo di registi delle discussioni, è fondamentale che ci ascoltiamo. Quando ognuno di noi esprime una opinione su un argomento all’ordine del giorno si corre il rischio di non ascoltare l’altro in quanto l’altro è, per noi, una persona che ha espresso una opinione differente o contrastante dalla nostra. Da qui nascono le litigate, i tiramolla, le opposte fazioni, le riunioni fino a tarda notte che non portano a nulla. Per evitare tali situazioni è necessario concentrarsi non su chi esprime un’opinione (che può avere il pregio/difetto di essere un nostro amico/ non amico nella comunità capi), ma sul contenuto dell’opinione stessa. Sembra una banalità ma vengono realmente perse delle ore nelle nostre comunità capi solamente a controbattersi sulle rispettive posizioni, rimanendo arroccati sui tanti “io la penso così”, “io sono più esperto di te di questa branca” o “ai miei tempi si faceva così”.
Concentrarsi sul ragazzo non sulle posizioni
Una comunità capi che funzioni è una comunità capi dove il capo, giovane e meno giovane, trova un luogo dove condividere il percorso educativo di tutto il gruppo, dal lupetto al rover, dalla coccinella alla scolta: questo perché siamo capi per ogni ragazzo/a del gruppo, non solo per quelli della Branca in cui prestiamo servizio. Per portare avanti una discussione che sia incentrata su un argomento del tipo “Mario è un ragazzo con problemi di socializzazione, come possiamo fare a coinvolgerlo?”, ogni capo che partecipa dovrebbe fare un esercizio mentale: immaginare al centro del cerchio la figura stessa del ragazzo/a di cui si sta parlando, in questo modo evitiamo di avere nella mente solo il viso di chi sta esponendo una sua opinione differente dalla nostra a cui vogliamo, spesso, controbattere. È bello condividere inoltre, da parte di ogni branca, anche i traguardi e le cose belle fatte con i ragazzi.
Non attaccare l’altra persona o l’idea altrui
Baden-Powell diceva che “colui che è capace di mantenere l’attenzione del ragazzo medio [e io direi anche del capo] per più di sette minuti su un argomento è un genio” (Taccuino, Edizioni Fiordaliso, pag. 166). Quando esponi la tua opinione fallo nel modo più chiaro, semplice e conciso ed evita di perdere tempo nel sottolineare perché o come sei contrario al parere altrui. Sempre Baden-Powell diceva “Non dire mai qualcosa che non metteresti per iscritto” (Giocare il Gioco, Edizioni Fiordaliso, pag. 84) e che: “L’educazione dev’esser positiva, non negativa[…] la legge scout in ognuno dei suoi articoli dice: “lo scout è” oppure “fa” qualcosa (e non) lo scout “non è” oppure “non fa” (Taccuino, Edizioni Fiordaliso, pag. 110). Queste sono o non sono due regole base per una buona comunicazione in comunità capi che ci ha dato B.-P. quasi un secolo fa? E noi sappiamo metterle in pratica?
Basarsi su criteri oggettivi
Nelle comunità capi ci si confronta su tanti argomenti, anche molto difficili o delicati come quelli dei capi scout in situazioni eticamente problematiche oppure si affrontano casi di ragazzi/e dalla difficile integrazione o anche le difficoltà che possono avere staff o singoli capi nel loro servizio. Un suggerimento per non impiegare male il poco tempo di una riunione di comunità capi è quello di arrivare preparati e di non vivere la riunione come una gara di opinioni e pareri: in comunità capi non si compete, si condivide. Un capogruppo che definisce l’ordine del giorno e sa che in quella riunione si affronteranno argomenti delicati, potrà preparare e consegnare a tutti i capi una serie di estratti dai documenti ufficiali dell’associazione o dagli scritti di Baden-Powell. Personalmente quando ero capogruppo ho usato così il documento “Capi in situazioni eticamente problematiche” reperibile sul sito dell’Agesci. Esso ha aiutato la comunità capi in una riflessione non facile riguardante un capo del gruppo. Sapere che l’Associazione si è già espressa su argomenti che oggetto di discussione in comunità capi può aiutare se: i documenti vengono presi come indicazioni (e non dogmi) sulla cui base partire insieme per prendere delle decisioni e se chi ha il ruolo di fare da regista (capogruppo) è preparato ad affrontare tali discussioni e argomenti: in pratica se prima almeno lui certi documenti se li è letti. Centrale è il ruolo del capogruppo: regista, animatore, motivatore, persuasore, ma non impositore. Che ruolo e che delicatezza!
In fin dei conti la comunità capi è un po’ il fulcro dell’Agesci, non lo pensi anche tu?
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